Salute

La paura e i sintomi fobici: tutto quello che c’è da sapere

La paura è una nemica da sconfiggere o una nostra alleata? Di certo si tratta della più primitiva delle emozioni che caratterizzano l’animo umano. I problemi sorgono, però, quando diventa estrema: è di questo che abbiamo parlato con il Dottor Giorgio Ioimo.

Che cosa succede quando la paura tocca vertici impensabili?

Essa diventa una sensazione reale e concreta che non riguarda più solo la mente ma che interessa anche il corpo. Quelli che ne derivano sono i cosiddetti sintomi fobici, che spesso vanno al di là di qualunque elaborazione mentale o pensiero. Il fatto è che tali sintomi non derivano dall’evento in sé; piuttosto sono il risultato delle azioni e delle tecniche che la persona mette in atto per evitare e sconfiggere la paura. Ciò vuol dire che le tentate soluzioni che vengono sperimentate dal soggetto allo scopo di tenere la paura alla larga non fanno altro che peggiorare quei sintomi. Da un lato si cerca di evitare l’innesco delle reazioni somatiche ed emotive frutto della paura; dall’altro lato, però, i tentativi che si attuano sortiscono l’effetto opposto. Così la paura si aggrava, e con il passare del tempo si giunge a una generalizzazione assoluta delle percezioni fobiche e delle relative percezioni rispetto alla realtà.

Che cosa avviene, a quel punto?

A causa di questa generalizzazione la persona si trova in una condizione che prende il nome di helplessness, e che si potrebbe definire come impotenza appresa. In pratica il soggetto si ritrova a pensare di non essere più in grado di avere il controllo su ciò che succede o di influenzare gli eventi. Da questa condizione di impotenza appresa per altro scaturiscono conseguenze non piacevoli: per esempio una reazione di paura cronica e acuta con manie di persecuzione; ma anche la depressione. Inoltre, il soggetto fobico si abbandona a credenze e rituali che, secondo lui, gli permettono di tenere sotto controllo e di scongiurare la minaccia rappresentata dai fatti di cui si ha paura.

Quali sono i comportamenti tipici di un soggetto fobico?

Dalla paura dell’altezza alla fobia dei ragni o a qualsiasi altra paura, chi si trova in una condizione del genere tenta in maniera costante di evitare o comunque di controllare quelle situazioni da cui potrebbe derivare un aumento dell’intensità della tensione, fino al panico vero e proprio. Tuttavia, quasi per paradosso la perdita di controllo viene scatenata proprio dal tentativo di controllo. Il fatto è che la persona fobica, mentre prova a controllare le proprie reazioni personali, pensa costantemente alla propria lucidità mentale, al battito del cuore e a tutti gli altri parametri fisiologici che testimoniano che il livello di ansia sta aumentando: tra questi ci sono anche il senso di equilibrio e il ritmo della respirazione. Tuttavia si tratta di funzioni spontanee del corpo umano, ed è evidente che su di esse non si può esercitare un controllo razionale. Se questo avviene, la naturale espressione di tali funzioni si modifica.

In un certo senso è come se fosse la persona stessa a favorire l’insorgenza della sintomatologia fobica.

Proprio così: la persona a quel punto si spaventa perché avverte tale alterazione. E si innesca un circolo vizioso che peggiora sempre di più, perché i parametri fisiologici finiscono per alterarsi in modo più evidente e così la paura cresce ulteriormente. L’attacco di panico si manifesta ogni volta che non si riesce a bloccare questo circolo vizioso che caratterizza una disfunzionale interazione fra il corpo e la mente. Tutte le strategie di gestione della paura che in genere vengono adottate dai soggetti fobici hanno, in realtà, l’effetto di alimentare ancora di più la paura stessa.

Di quali strategia si tratta?

Sia dall’esperienza clinica che dall’osservazione empirica si possono intuire due modalità di comportamento tipiche correlate a questo circolo vizioso: da una parte la ricerca continua di protezione o di sostegno di altre persone; dall’altra parte il desiderio di evitare quelle situazioni che possono provocare l’attacco di panico. È facile capire il perché: se una persona associa una certa situazione a un attacco di panico, è chiaro che tende a evitare quella situazione, a prescindere dal fatto che tale associazione sia figlia di una pericolosità solo supposta o di una diretta esperienza.

Perché il soggetto fobico mette in atto un comportamento di questo tipo?

Perché nel momento in cui evita la situazione che provoca la paura, il soggetto fobico ha la conferma che proprio quella situazione era pericolosa. Ma così la persona si sente inadeguata, e quindi la volta dopo avrà ancora più paura. Insomma, in un primo momento si è sollevati perché è stato evitato l’attacco di panico, ma in seguito ci si rende conto di non essere in grado di far fronte alla situazione che è stata scampata. Dopo la fuga, quindi, la persona si sente sfiduciata e del tutto priva di sicurezze per ciò che concerne le proprie capacità.

Questo non può far altro che peggiorare la sua condizione, giusto?

Certo. Anche perché a quel punto si va in cerca di protezione immediata grazie ad altre persone, che in questo modo si devono addossare la responsabilità di offrire un aiuto. Il soggetto, però, continua a sentirsi inadeguato e incapace, perché per prevenire la comparsa di un attacco di panico ha bisogno di sentirsi rassicurato e confortato dalla presenza di altre persone, pronte a intervenire in caso di necessità. Sia chiaro: tanto il desiderio di protezione quanto la fuga sono delle reazioni fisiologiche, e al tempo stesso strategie utili perché mirate all’autoconservazione.

Quindi vanno accettate?

No, perché esse diventano patogene nel momento in cui vengono generalizzate ed esasperate. È come una medicina: la giusta quantità fa bene, ma un sovradosaggio può essere negativo. Così, tali strategie in un primo momento sembrano funzionare come devono, almeno nell’immediato, ma si rivelano disfunzionali con il passare del tempo, dal momento che si irrigidiscono. Il senso di insicurezza della persona fobica viene alimentato da tali strategie, che non solo non contribuiscono ad attenuare la percezione delle minacce, ma addirittura la consolidano. E così si finisce in trappola.

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Irene Milito

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Irene Milito

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